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Codice etico PDArgomento assai spinoso, che mette in imbarazzo tutti noi che, quotidianamente ci confrontiamo con persone, a volte amiche, che vorrebbero capire, a volte non amiche o indifferenti, che ne approfittano per dire “siete tutti uguali”. Proprio quest’ultimo atteggiamento, pericoloso e anticamera del’”anti politica”, è assai fastidioso per chi, con buone ragioni, ritiene che no, non siamo tutti uguali. Su questo, e con questa prospettiva, vorrei fare qualche personale considerazione, senza certamente entrare nella vicenda strettamente giudiziaria, per cui non ho competenza né informazioni. E non per parlare di Penati in particolare, ma usando il suo caso come spunto di riflessione.

Certamente il “caso Penati”, nella sua potenziale estrema gravità, dovrebbe scomparire di fronte a Berlusconi ricattabile e ricattato, a ministri distratti e inconsapevoli, ad alti funzionari pubblici che lucrano sugli appalti, all’ex capo della protezione civile che se ne approfitta, a faccendieri e mariuoli che fanno i comodi loro. Sono talmente tanti i casi, di fronte ai quali i nostri avversari politici ostentano indifferenza e sicurezza, che non riusciamo più neanche a ricordarceli.

Questa è anche una delle nostre linee di difesa, insieme al giusto motto “innocenti finché non è dimostrato il contrario” o, fortunatamente per ora in modo sommesso, “un intervento ad orologeria nel momento in cui il consenso per il PD sta crescendo”.

L’argomento principe di difesa però, al momento, è quello di marcare la diversità di comportamento rispetto agli “altri” perché noi non insabbiamo e applichiamo un preciso codice etico, come dimostra la sospensione dal PD e le spontanee dimissioni dagli incarichi in consiglio regionale (nb. non però, ad oggi, dal consiglio stesso, di cui Penati continua a far parte e a percepire lo stipendio). Noi non ostacoliamo la magistratura, ma vogliamo che vada fino in fondo e rapidamente (nb naturalmente nel rispetto di tutte le norme, anche quelle sulla prescrizione).

Tutto bene, tutto giusto. Ma basta? Penso proprio di no. Non basta per noi militanti, non basta per l’opinione pubblica, non basta per i nostri potenziali elettori. Manca la prevenzione, la vigilanza, la capacità di evitare situazioni potenzialmente pericolose.

Per far capire cosa intendo vorrei far riferimento alla mia esperienza “vicina al caso Penati”. Infatti, da metà degli anni 70 a metà degli anni 90, ho vissuto a Sesto san Giovanni, in un’era cioè sostanzialmente pre Penati, di cui però Penati ha rappresentato la sostanziale continuità, essendosi succedute, dall’immediato dopo guerra, omogenee amministrazioni di sinistra (non di “centro sinistra”). La città è stata certamente ben amministrata, con una ricca vita sociale e buoni servizi, con una forte capacità di integrazione (negli anni della immigrazione di massa da altre regioni), con una buona capacità di reinventarsi (dopo la violenta deindustrializzazione). Prove difficili e affrontate con successo, da portare ad esempio per altre realtà simili.

Però, dal mio punto di vista di cittadino non politicizzato, qualcosa non funzionava perfettamente. Un certo clima di conformismo culturale, una classe dirigente totalmente di cooptazione: bravi e preparati certamente, ma sempre tra di loro. La sensazione diffusa che, se si voleva avere voce in capitolo su qualche aspetto della città, e nelle professioni, si dovesse essere necessariamente contigui ai centri di potere. Forse fisiologico, ma un po’ pericoloso, se non c’è un minimo di alternanza o ricambio.

In particolare, per il recupero e sviluppo delle aree ex industriali, l’impressione diffusa era che i protagonisti fossero sempre gli stessi pochi: probabilmente i più efficienti e preparati….ma …

Insomma non sembrava del tutto normale che il nome di Pasini (oggi grande accusatore di Penati) ricorresse assai spesso, per qualsiasi realizzazione di qualche importanza.

Per capirci, quando è scoppiato il “caso Sesto” la mia reazione è stata del tipo: ahimè questa proprio non ci voleva, non adesso, speriamo bene. Non è però stata: impossibile, non ci credo, certamente c’è un errore. Certo questo non è un elemento minimamente rilevante dal punto di vista penale. Mi auguro sinceramente che la cosa si risolva positivamente, nell’interesse di Penati e nostro. Ma il punto, politicamente, è che non si dovrebbe arrivare in situazioni a rischio. Non sembra possibile che la struttura del partito non se ne accorga e non cerchi di chiarire per disinnescare, preventivamente, possibili mine.

Ancora più eclatante è il caso Serravalle che, nella sua dinamica e nelle sue ombre (non è mai davvero stato spiegato il motivo dell’acquisizione di una posizione maggioritaria del pacchetto azionario e non mi sembra che si siano mai viste le positive conseguenze), è stato ripetutamente oggetto di polemiche giornalistiche, e non solo. Ancora una volta: era davvero tutto così limpido e trasparente, per cui il partito non ha sentito l’esigenza di interessarsene e di chiarire? O l’ha fatto per tempo e ha ricevuto convincenti assicurazioni?

Spero di avere chiarito cosa intendo per prevenzione, vigilanza, capacità di evitare situazioni potenzialmente pericolose. Non so come si fa, anche qualche idea ce l’ho.

Mi piacerebbe molto che su questo tema, assolutamente cruciale per il futuro del PD, si dibattesse tra di noi, con assoluta onestà intellettuale, certo senza giacobinismi, ma anche senza eccessi di realismo politico, per cui il fine giustifica i mezzi, quali che siano.

Carlo Bonetti                                                           11 settembre 2011

Post scriptum. In questo momento ci facciamo un vanto che il nostro bilancio è certificato, unico tra tutti i partiti. Questo è certamente una cosa di cui andare fieri ed è un importante elemento di trasparenza. Ma, se, per assurdo, ci fossero dei fondi neri, ricavati in modo illegittimo, questi sarebbero forse iscritti a bilancio? Ricordo che anche la Parmalat aveva bilanci certificati.

Tag(s) : #Il partito